La penna di Alessandra

Il solaio della nonna
Penelope stava trascorrendo le vacanze estive a casa di nonna Brunilde, in montagna, in un piccolo paese che, con gli anni, si era sviluppato ed era diventato una nota meta sciistica invernale. La casa della nonna si trovava, insieme ad un altro gruppetto di case, in una zona che oggi verrebbe chiamata "CENTRO STORICO”: case rimaste immutate nel tempo, solide, con i muri in sasso della montagna e travi di abeti dei boschi circostanti. La casa della nonna era situata su due livelli, i locali non erano molto ampi, il soffitto era basso, perché si sa, in montagna fa freddo e il caldo si diffonde meglio in luoghi piccoli. Al piano terra c'era una comoda cucina, dove troneggiava la vecchia stufa a legna: d'inverno essa diffondeva il caldo che invogliava ad oziare, e d'estate veniva usata come "ornamento"; la nonna la ricopriva con una "mantella" ricamata da lei stessa, con motivi alpini (ovviamente!): stelle alpine, genziane, rododendri, una tavolozza colorata che metteva allegria. Un tavolo molto vissuto dove si potevano leggere ferite da coltello, bruciature del ferro da stiro (con le braci) e incisioni stava al centro della stanza. Il vecchio pavimento di lastroni di pietra era stato sostituito con uno più moderno di ceramica per praticità igienica. Il lavello era anch'esso in pietra e con un solo rubinetto per l'acqua: ovviamente fredda, talmente fredda che di notte si lasciava scorrere per evitare che ghiacciasse nei tubi. Per l'acqua calda la nonna provvedeva mettendo una pentola sulla stufa, che borbottava e sfrigolava quando una goccia d'acqua cadeva dal coperchio sui cerchi arroventati. L'unico elemento di modernità in questa stanza era il frigorifero. L’ottomana (divano) era posta davanti alla finestra che guardava le cime innevate maestose ed immobili della montagna. Un grosso cesto di vimini con tanti gomitoli di lana colorata e la vecchia macchina da cucire "PFAFF" a pedale, insieme con la moderna tv appoggiata su cassette della frutta, di legno, dipinte con colori allegri, erano l'arredamento del piccolo spazio intimo che la nonna chiamava "STANZA DELLA MEDITAZIONE". Al piano superiore erano le due camere da letto, con pavimento in legno, tavole di puro legno alpino,che in qualche modo riscaldavano l'ambiente. L'arredo era spartano, letti e armadi in ciliegio, il piano del comò in serpentino, tipica pietra del posto, su cui c’erano le foto della nonna e del nonno in bianco e nero, il giorno del loro matrimonio e la foto del matrimonio dei loro figli.
Penelope adorava stare in quella casa ma, c'era una stanza che non aveva mai OSATO perlustrare: era la soffitta, che le procurava attrazione, fascino e paura nel contempo, nessuno ci andava mai, tutti dicevano che non c'era niente da vedere, solo cose vecchie e dimenticate … ma era proprio questo che attirava l'attenzione di Penelope: immaginava di trovarci cose strane, paurose ... o forse sciocche, inutili. Una mattina prese il coraggio a due mani e, con il gatto Bartolomeo in braccio, respirò profondamente e aprì la porta che separava il piano delle camere dalla soffitta; la scala di legno era lì, buia, le narici percepirono un odore di cose vecchie, ma non sgradevole, odore di polvere. Penelope aveva il cuore che le batteva forte, sentiva freddo sebbene la temperatura era piacevolmente calda, stringeva il gatto così forte che il poverino sentendosi soffocare cominciò a miagolare. I gradini scricchiolavano ad ogni passo ma oramai aveva deciso che sarebbe arrivata fino in fondo e continuò a salire, superò gli ultimi scalini e si trovò in uno stanzone. Dalla finestrella che costituiva l'unica presa di luce entrava un raggio di sole; Penelope rimase a bocca aperta osservando il pulviscolo atmosferico che danzava in quel raggio di luce: non aveva mai visto nulla di simile! Poco a poco gli occhi si abituarono all'oscurità e poté vedere ciò che la circondava. Il cuore aveva ripreso il suo ritmo normale, il respiro era tornato regolare e si sentiva tranquilla, mosse alcuni passi verso qualcosa che non riusciva a identificare e scoprì essere una culla, una bellissima culla di legno intagliato. “Chissà di chi è stata?”, si domandò , la toccò leggermente e, silenziosamente cominciò a dondolarla , avanti e indietro. Oramai aveva vinto la paura e la curiosità la spingeva a cercare, tastando con le mani e cercando di scorgere con gli occhi. L'ambiente era caldo, silenzioso eppure Penelope poteva SENTIRE le tanti voci di vita vissuta che appartenevano alle cose che la circondavano; c'era una enorme slitta, con le assi annerite dall'uso e dall’abbandono. Provò ad immaginare la nonna lì sopra e le venne da sorridere. La sua attenzione si posò su un baule, messo in fondo al locale. Penelope si avvicinò con curiosità e sollevò il coperchio con cautela: dentro c'erano abiti, vestiti di un'altra epoca ma ancora stupendi e lei già si immaginava di indossarli per una grande occasione e fare morire d'invidia le amiche! Rovistò tutto, infine sul fondo del baule vide un pezzettino di carta e lo prese. Era una pagina di quaderno, ingiallita dal tempo e in mezzo c'era una fotografia in bianco e nero. Il viso bellissimo di un giovane le sorrideva. Il giovane indossava una divisa militare. “Il nonno!” pensò Penelope, ma subito scartò questa idea perché il nonno non aveva fatto il militare in quanto era orfano. Ma allora, chi era quello sconosciuto? Sul retro della fotografia c'era scritto “CECCO” e il timbro del fotografo che aveva scattato la foto. Emozionata, eccitata, impaurita di aver scoperto una cosa di cui non aveva mai sentito parlare, ridiscese dalla soffitta con la fotografia nascosta nella cintura della gonna e andò in camera sua. Con i potenti mezzi moderni di cui disponeva sarebbe riuscita a dipanare la matassa di questo mistero. La nonna la vedeva sempre chiusa in camera e chiedeva cosa stesse escogitando, ma Penelope le rispondeva che era una sorpresa, doveva pazientare un po’. Il mattino del terzo giorno, Penelope entrò nella stanza della meditazione dove stava sferruzzando la nonna e le disse che aveva una sorpresa per lei, le mostrò la foto e la nonna disse "FRANCESCO!". Cecco dunque era Francesco, un giovane che era arrivato nel paesino della nonna a fare il servizio militare, poi era scoppiata la guerra e lui era partito. La nonna non aveva più avuto sue notizie, poi conobbe il nonno e si sposò. Ora dopo 60 anni, il passato era tornato, Penelope informò la nonna che aveva rintracciato Francesco e la voleva accompagnare a trovarlo. Egli viveva in una cittadina di provincia, in un’altra regione non molto lontana; così presero il treno e, dopo un viaggio di tre ore, giunsero a destinazione. Arrivarono davanti ad una casa modesta, in un quartiere popolare, suonarono il campanello e sulla porta apparve Francesco giovane. “Ma come? Il tempo si è fermato per lui?”, pensò la nonna. No, lui non era Francesco, lui era Erminio, suo nipote. Erminio invitò Penelope e la nonna ad entrare e le accompagnò in giardino dove un signore dai capelli bianchi e gli occhi ridenti stava potando le rose; alla vista delle ospiti fece un inchino poi, rialzato lo sguardo disse "ILDE!". Aveva riconosciuto la nonna!! Il tempo si era fermato a 60 anni fa e tutto poteva ricominciare …